Nella mio paese, Budoia, terra di confine come tutto il Friuli, in cui si concentravano le truppe di ogni esercito combattente (tedeschi, italiani, cosacchi) durante la seconda guerra mondiale è arrivato un soldato, un richiamato, Landuccio Barbini, che si è innamorato della mia bellissima zia Maria e l’ha sposata. Nella vita civile abitava a Trecenta, una cittadina al confine tra il Veneto e l’Emilia; era fine, elegante, idealista, non aveva un lavoro fisso, aveva uno stile di vita simile a quello che negli anni 70 avrebbe caratterizzato i “figli dei fiori” per quel che riguarda la libertà e la pace. A casa mia era visto però come uno che non aveva voglia di lavorare. Io lo amavo quello zio sempre con la testa tra le nuvole, che regalava le sue scarpe ai mendicanti scalzi, ed è proprio lui che mi ha insegnato una delle cose che so meglio fare in cucina: i tortellini.
Era un rito quando andavo a casa di mia zia: metterci attorno alla tavola da pranzo , guardare lei che tirava la pasta fine fine, quasi trasparente e io, la piccola, e lo zio, aspettare il nostro turno per confezionare i tortellini.
Tutto ciò mi è venuto in mente quando, durante la mia esperienza G.O.50+II promossa da CEMEA di Roma, mi è stato chiesto di proporre un piatto tipico della cucina italiana agli studenti della Scuola di Idioma di Logrono. Ne ho parlato con le mie colleghe, Laura B. e Laura D. V. poiché avrei dovuto avere anche la loro collaborazione, e loro entusiaste mi hanno assecondato, la prima avrebbe dovuto “tirare” la pasta e la seconda preparare le palline di ripieno; perciò primo passo la ricerca degli ingredienti più vicini alla ricetta originale ( ho sostituito il prosciutto di S. Daniele con il Serrano, la mortadella con un tipo di mortadella spagnola con le olive). Il giorno dela nostra performance come “cocineras” ho creato un po’ di aspettativa raccontano una delle leggende sulla nascita del tortellino: un oste di un paese al confine tra la terra di Modena e quella bolognese aveva sbirciato l’ombelico di Venere (durante una sua venuta sulla terra con Marte e Bacco per dirimere una contesa tra le due città per la secchia rapita) e aveva desiderato riprodurlo con la pasta. Tutti erano affascinati, mi sembrava di essere a scuola con i miei ragazzi quando cercavo di appassionarli alla letteratura raccontando qualche curiosità.
Poi siamo passati alla pratica: naturalmente desideravamo che gli studenti imparassero a confezionarli, ma ci spiaceva sprecare pasta e ripieno per i tentativi che io ipotizzavo numerosi, poiché non è semplice “dare il giro alla pasta”: Abbiamo così deciso di farli esercitare con la carta finchè non avessero prodotto qualcosa di simile all’ombelico di Venere. Il giorno precedente avevamo cercato di scrivere delle istruzioni nella ricetta, abbiamo utilizzato due ore per farlo, tra mille risate per tentativi di essere chiare nel descrivere per iscritto i movimenti delle dita: come sempre, quando si fanno le cose in allegria e collaborazione si dà il meglio di noi stessi. E’ stato divertente vedere con quanto impegno persone adulte e giovani ci hanno seguito in questa lezione, finchè…. quasi a tutti è riuscito di ottenere il capolavoro. Ognuno di essi ha potuto assaggiare il suo “prodotto” cotto in buon brodo di carne, sono stati felici e orgogliosi di avere imparato qualcosa di nuovo. Io forse sarò ricordata da loro come colei che ha insegnato a fare i tortellini e spero anche con simpatia.
Gabriella Panizzut
16/10/2012 – 13/11/2012 Logroño, Spagna
Progetto Go 50+II
Cemea del Lazio