Giugno 2011, Logrono, Spagna. Mi sono trovata a lavorare per la prima volta nella mia vita di insegnante con ragazzi disabili. I ragazzi erano divisi in tre gruppi, con diverse tipologie di disabilità, dai Down agli autistici. Con i primi due gruppi ho condiviso momenti di attività interculturali (laboratori di cucina, presentazione della cultura italiane, visite culturali della città), ma è il terzo gruppo quello a cui, da subito, mi sono sentita più legata: il gruppo del laboratorio teatrale. Ho partecipato alle prove di “Sogni” e purtroppo non ho potuto vedere lo spettacolo finale.
Il lavoro iniziava con il risveglio di due gruppi, un gruppo che gridava “Quiero despertar”(Voglio svegliarmi), perché si svegliava da un incubo e ognuno pronunciava una parola chiave come “morte, sangue” che faceva intuire la forza negativa del sogno e l’altro gruppo che gridava “No quiero despertar”(Non voglio svegliarmi) e pronunciava parole come “gioia, fiore, madre, amore” che facevano intuire la bellezza del sogno. Poi tutto era affidato alla gestualità, al ritmo, al senso della spazialità, il testo ridotto a pochi suoni. Ognuno faceva un gesto che simboleggiava il suo sogno: chi piroettava come una ballerina, chi navigava come il comandante di una nave, chi guidava un camion, ognuno concentrato ad esprimere la propria personalità e tutti insieme a formare un quadro vivente. Le musiche accuratamente scelte ricordavano quelle del teatro espressionista tedesco di Kurt Weil e proprio questo ritmo aumentava il senso di straniamento e contemporaneamente di coinvolgimento.
I giovani registi guidavano i ragazzi con grande semplicità, ma con un forte carisma. Tutti avevano l’aria di divertirsi moltissimo insieme, si percepiva subito il senso di appartenenza al gruppo.
Non mi sono mai sentita spettatrice. Alla seconda prova, era come se facessi parte del gruppo: ridevo con loro, ripetevo le loro battute, mi commuovevo nel momento clou.
Mi sono spesso occupata di laboratori teatrali, ma credo di non aver mai visto recitare con tanto entusiasmo, ordine e leggerezza.
Ancora oggi, a distanza di un anno, risento la musica e rivedo tutti gli attori alzarsi e abbassarsi come le canne di un grande organo, e non posso fare a meno di sorridere e di sorridere ancora…
Roberta Bedosti
01/06/2011-29/06/2011 Logroño, Spagna
Progetto GO50+
CEMEA del Lazio
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